IL NUOVO STATUTO DEI LAVORATORI
Lo Statuto dei Lavoratori, legge 20 maggio 1970 n. 300, fu una delle grande conquiste della classe operaia italiana durante gli anni della Prima Repubblica. Con questo provvedimento, si disse giustamente, “la Costituzione entrava in fabbrica”. In precedenza votato al Senato, viene approvato dalla Camera con 217 voti a favore (la maggioranza di centro sinistra – Dc, Psi e Psdi unificati nel Psu, Pri – con l’aggiunta del Pli, al tempo all’opposizione) con astensione di Pci, Psiup e Msi.
Negli anni ’80 e ’90 lo Statuto ha mantenuto la forza di garanzia non soltanto dei lavoratori occupati, ma anche dei lavoratori disoccupati, con forme d’incentivazione dell’occupazione e di sostegno alla produzione che trovavano nello Statuto il preciso punto di riferimento, anche per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali. Le teorie neoliberiste hanno costituito la più evidente legittimazione ideologica del tentativo di destrutturazione della legge 300, facendo ricadere sulle sue colpe una “rigidità” del mercato del lavoro che avrebbe impedito al Paese di crescere negli ultimi anni. La cancellazione sostanziale dell’art.18 dello Statuto, licenziamento senza giusta causa, è andata in tal senso.
Qui trovate la proposta di CGIL Confederazione Generale Italiana del Lavoro per la ‘Carta dei diritti universali del lavoro’, ovvero un nuovo Statuto delle lavoratrici e dei lavoratori. Una raccolta di norme destinate a tutto il mondo del lavoro, subordinato e autonomo, Con il nuovo Statuto la Cgil vuole innovare gli strumenti contrattuali preservando quei diritti fondamentali che devono essere riconosciuti ed estesi a tutti, senza distinzione, indipendentemente dalla tipologia lavorativa o contrattuale, perché inderogabili e universali. Diritti che vanno dal compenso equo e proporzionato alla libertà di espressione, dal diritto alla sicurezza al diritto al riposo, ma anche alle pari opportunità e alla formazione permanente, un aggiornamento costante di saperi e competenze. Per ricostruire un diritto del lavoro a tutela della parte più debole nel rapporto di lavoro.